“IL PRIMO ANGELO” – PRESENTAZIONE LA COMPAGNIA DEL THE – 1.12.2008
Paolo Dune è stato ospite della Compagnia del The a Milano, dove è stato presentato il suo libro, Il primo angelo.
Di seguito la recensione di Raffaele D’Isa.
“Caro Paolo,
eccomi finalmente a scrivere qualche pensiero sul tuo libro.
Due cose, innanzitutto, mi portano fuori da ciò che avevo previsto.
La prima è la rapidità con cui ho letto il libro: un paio di giorni. Sono in genere un lettore lento. Non divoro, ma rumino i libri. Col tuo ho fatto diversamente.
La seconda cosa riguarda il mio originario desiderio di prendere spunto dal tuo libro per scrivere qualcosa di organizzato come una specie di critica.
Non mi è più possibile.
Magari la critica te la scriverò alla fine lo stesso, ma un libro simile mette, secondo me, in secondo piano un atteggiamento che potrebbe essere di semplice critica narratologica.
Il primo angelo tocca corde profonde e delicate in un lettore della civiltà occidentale, perché lavora con degli archetipi che abbiamo molto ben radicati nella nostra struttura psichica a prescindere dal grado di laicismo fino al quale ognuno di noi possa considerarsi maturato.
Il libro va, in altri termini, veramente oltre e costituisce, sempre secondo me, anche un grande atto di coraggio, dal momento che è stato scritto nel Paese in cui è ospitato il Vaticano.
Se le agnizioni di un qualunque romanzo possono essere paragonate a lampi di flash, Il primo angelo contiene l’agnizione di tutte le agnizioni, il cui arrivo è paragonabile all’esplosione di una supernova. Dopo di ciò qualunque discorso eventualmente riguardante il rapporto tra fabula e intreccio oppure lo stile di narrazione, la gestione dei personaggi etc. diventa del tutto accessorio rispetto a ciò che è invece urgentemente necessario.
Il libro tocca questioni di teogonia e di antropogenesi davanti alle quali un lettore occidentale non può evitare di sentirsi toccato e turbato. La sintesi del libro probabilmente riunisce idee non so fino a che punto ordinate altrove in modo combinato, ma ritengo che esporle nel modo da te scelto richieda molto coraggio e un alto coinvolgimento personale in quest’opera di diffusione e divulgazione.
Non giova paradossalmente al libro, a mio giudizio, la preesistenza di un filone esoterico-religioso. I contenuti del romanzo rischiano infatti di essere confusi con una delle tante divagazioni alla moda già usate come pretesto per costruire lavori letterari a scopo commerciale. Vedo, insomma, il rischio che il libro possa essere appiattito su altre opere che lo hanno preceduto, a partire dall’ormai abusato Codice Da Vinci.
Il Primo angelo meriterebbe maggiore solitudine editoriale.
Procederò, allora, in modo un po’ critico e un po’ erratico; come mi verrà.
Voglio innanzitutto dirti che l’idea che dietro al mito cristiano di Lucifero si nasconda ben altro non mi era nuova. Ne avevo però una diversa versione.
Il Graal sarebbe quindi la pietra incastonata sulla fronte Lucifero, ma il Primo Angelo e tutti gli angeli ribelli altro non sarebbero che il ricordo di una diversa realtà metafisica, poi stigmatizzata nel modo “rivelato” dai testi sacri.
Lucifero e i suoi costituirebbero la memoria di un’umanità superumana stanziata nella regione polare, Iperborea, quando questa era perfettamente abitabile durante ciò che sarebbe poi stata chiamata l’età dell’oro.
Questa umanità primordiale quasi divina già costituiva, nel processo di antropogenesi, un primo abbassamento di livello rispetto all’Essere originale.
Ma ancora essi costituivano una realtà infinitamente al di sopra della successiva condizione umana. Il ricordo di questa sorta di “super razza” sarebbe poi stato alla base delle mitografie greca e romana: gli Dei dei rispettivi pantheon. Ricordiamo, ad esempio, che Apollo risiedeva nelle regioni polari.
Questa stessa idea sarebbe purtroppo stata anche alla base di alcune teorie ottocentesche spiritualizzanti, poi rifuse maldestramente nella prassi del razzismo nazista.
La nascita del monoteismo ebraico e poi cristiano avrebbe costituito, a livello metafisico, l’esito di una battaglia tra il demiurgo della tradizione greca e gli dei. E, se nel mito greco il demiurgo era una divinità mondana e sott’ordinata agli dei, nel mito ebraico-cristiano il rapporto si inverte: il demiurgo è ora promosso a unico dio, mentre gli dei sono degradati ad angeli o intelligenze celesti (le sfere dei cieli di Dante). Un colpo di stato, insomma, non molto dissimile dalla tesi alla quale hai aderito tu.
Non a caso, sia nella versione alla base del tuo romanzo sia alla base della tesi che ti ho qui riassunto, sono miti extracristiani (greco o egizio) a spiegare e chiarire il tutto.
La materia è complessa, vasta e delicata e forse ho toccato in modo troppo sintetico argomenti che richiederebbero tempi e luoghi di discussione ben diversi.
Dal momento, però, che non voglio rinunciare a parlare del romanzo in quanto “prodotto letterario”, rinvio ad un altro momento ulteriori confronti in materia di miti e metafisica.
Il tuo stile narrativo è lineare, di una scorrevolezza sorvegliata che non rinuncia a descrizioni con spunti poetici o a giochi analogici e metaforici, ma che sceglie di mantenersi snello e leggero, come giusto contrappunto alla potenziale “pesantezza” e difficoltà della materia.
Ci sono due punti nella tua tecnica di costruzione del romanzo sui quali mi piacerebbe soffermarmi, perché riguardano due atteggiamenti dell’autore che hanno condizionato non poco la struttura e lo stile e che forse mi lasciano non senza qualche perplessità: la velocità e l’ironia.
Partiamo dalla velocità.
Il libro è strutturato come un thriller anche se, rispetto alla struttura del thriller il tuo narratore è decisamente onnisciente. È prodigo, infatti, di divagazioni storiche e dottrinali in favore del lettore e non perde d’occhio certe istanze didascaliche anche quando si preoccupa di tradurre in italiano le varie espressioni in lingua straniera.
Il romanzo è anche fatto di azione e avventura, ma non è questo ciò a cui penso quando parlo di velocità.
Ho, infatti, l’impressione che il lettore venga catapultato troppo rapidamente in un contesto misto metafisico-terrestre nel quale, appena dopo poche pagine, il primo demone spicca il suo sovrumano balzo al di là di un treno della metropolitana di New York.
Ben presto si aggiungono altri demoni e anche la comparsa di Lucifero è, tutto sommato, precoce rispetto a certe istanze di suspense rispetto alle quali forse mi sarei sentito più sensibile.
Si ha, in questo modo, a volte la sensazione che si insinui nel romanzo un flavour che attraversa i gradi del pittoresco, del caricaturale fino al grottesco. E magari, entro certi limiti, potrebbe anche essere un effetto volutamente ricercato. Quando però si tocca Lucifero, lì la questione diventa più delicata, visto che comunque l’autore del romanzo si pone agli occhi del lettore sicuramente come un ricercatore serio. L’autore-ricercatore prende forse le distanze dalla materia che tratta, prima portando il lettore per mano su sentieri ardui e poi travolgendolo in veloci peripezie ed effetti speciali con risultati spesso comici? Ti dirò, per esempio, che all’inizio del romanzo tratti un altro argomento sul quale avevo letto un testo specializzato: l’idea di una Terra cava. Pare che, specialmente nel corso dell’ottocento, molti scienziati ed esploratori stessero impazzendo di entusiasmo per l’idea che ci fosse una razza sotterranea nelle viscere della Terra (anche in un romanzo di Verne c’è un’eco di ciò), All’inizio sembra quasi che tu voglia giocare con un doppio ordine di idee: da un lato l’inferno del mito cristiano, dall’altra l’idea di una razza sotterranea dalle origini tutte da scoprire. Ma l’ambiguità dura poco. La velocità del romanzo porta tutto rapidamente a quella galleria di demoni a tinte forti e al loro non meno pittoresco capo.
Niente paura.
La discendenza di Lucifero-Osiride è qui per questo. Basterà concedere al bambino il tempo di un primo svezzamento e poi sarà abile e arruolato per uno o più lavori futuri.
Vivissimi complimenti, comunque.”
Raffaele d’Isa