Storicità di san Paolo
Intorno al 40 d.C., entra in scena un fariseo originario di Tarso, nell’attuale Turchia. L’unico personaggio del Nuovo Testamento a manifestare una forte personalità ed una tridimensionalità storica. Di cultura greca, e forse addirittura di cittadinanza romana, Saul fu un persecutore di “nazorei” negli anni della giovinezza, fino a quando, sulla via di Damasco, vide qualcosa nel cielo che lo fece convertire.
Probabilmente “Damasco” era uno dei termini con cui veniva definito Qumran, il luogo sulla rive del Mar Morto dove dimoravano gli Esseni (come suggerisce il documento LA NUOVA ALLEANZA DI DAMASCO – LA SETTA DI DAMASCO, rinvenuto tra quelle grotte). È quindi possibile che Saul stesse in realtà recandosi a Qumran. Damasco del resto è in Siria, e Paolo non avrebbe avuto giurisdizione lì. Non risulta neanche che vi fossero cristiani in quel Paese! (gli ATTI 9,31 dicono che la Chiesa cresceva in “Giudea, Galilea e Samaria”).
Durante la strada, Saul fu accecato da un evento celeste ed ebbe una crisi epilettica. Condotto a Qumran, divenne membro della comunità. Da quel momento Saul cambiò il proprio nome in Paolo, diventando un fervente seguace.
Ma la sua predicazione si staccò presto dalla tradizione essena. “A Cencre si era fatto tagliare i capelli a causa di un voto che aveva fatto” (ATTI 18,18). La consacrazione del nazireato, che richiedeva i capelli lunghi, ad un certo punto venne rifiutata: Paolo decise di staccarsi dalla comunità per predicare un proprio vangelo. “Costui persuade la gente a rendere un culto a Dio in modo contrario alla legge” (ATTI 18,13), lo accusarono i Giudei.
Emerge preponderante la personalità di Paolo: “Mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei… con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge… mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti…” (1^ LETTERA AI CORINZI 9,20ss), che testimonia una lucidità e lungimiranza notevoli.
Da qui l’inevitabile polemica tra lui e gli apostoli di Gerusalemme (Giacomo, Pietro e Giovanni), fedeli alla dottrina essena, che sfociò in un forte contrasto, in parte rappresentato nelle sue lettere:
- “Anche se per altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono” (1^ CORINZI 9,2);
- “Io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi «arciapostoli»” (2^ CORINZI 11,5); “Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo… si mascherano da ministri di giustizia” (11,13). Il riferimento ai ministri di giustizia richiama ancora la terminologia essena, del “Maestro di Giustizia”.
A seguito di ciò, una delegazione di Gerusalemme, guidata da Simon Pietro, lo incontrò a Antiochia, per verificare la sua attività. Qui si consumò un duro scontro tra i due protagonisti. Gli ATTI parlano di un accordo finale, in base al quale Paolo avrebbe predicato la dottrina ai pagani, mentre gli altri ai Giudei. Ma quando una religione divide i propri fedeli su base etnica, inevitabilmente cessa di essere la medesima religione. Il Giudaismo era una religione riservata al “popolo di Dio”, non poteva essere predicata universalmente. L’episodio di Antiochia segnò, quindi, un vero e proprio scisma, che Paolo nei suoi scritti cerca ovviamente di mitigare. Fu ad Antiochia che nacque per la prima volta il termine “Cristiani”.
La polemica tra Paolo e Giacomo è presente anche nel Vangelo di LUCA (Luca era un discepolo di Paolo). In un episodio, si narra di un villaggio di Samaritani che si rifiuta di accoglie Gesù (9,51), e Giacomo e Giovanni gli domandano se devono lanciare una maledizione contro questo villaggio, ma Gesù li rimprovera. La polemica riguardava il rapporto tra i Giudei e i Samaritani, ma più in generale il rapporto tra Giudei e stranieri. Paolo aveva deciso di predicare la religione ai pagani, e in questo brano Giacomo viene messo in cattiva luce per la sua avversione alla Samaria (è l’unico Vangelo che racconti questo episodio, come è l’unico che racconti l’analoga parabola “del buon samaritano”). Dopo gli altri Vangeli che predicavano: “Non andate fra i pagani e non entrate nella città dei Samaritani” (es. MATTEO 10,5ss), il Vangelo di LUCA costituisce il primo passo verso il mondo dei pagani.
Negli anni seguenti, Paolo impostò una predicazione più filo-greca e accessibile ai Gentili. Nella sua lettera ai GALATI 3,13, dice espressamente: “Cristo ci ha riscattati liberandoci dalla maledizione della Legge”. Ma la notizia della sua predicazione contro la Legge giudaica, non piacque alla Chiesa di Gerusalemme, che lo convocò nella capitale per un chiarimento definitivo. Qui Paolo fu ricevuto da Giacomo e dagli altri capi, i quali gli mossero le relative accuse: “Hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini” (ATTI 21,21).
Nella lettera ai GALATI, Paolo racconta: “Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli” (2,2), in quanto si trattava evidentemente di un Vangelo che non poteva essere rivelato senza destare scandalo.
Il risultato fu che a Paolo fu imposto di osservare la Legge giudaica e di fare una penitenza di purificazione di sette giorni al tempio (segno che la sua dottrina non piacque).
Paolo obbedì, ma al termine di questo periodo, fu riconosciuto nel tempio in compagna di alcuni pagani e subito accusato: “Questo è l’uomo che va insegnando a tutti e dunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo” (ATTI 21,28). I giudei cercarono di ucciderlo, ma l’intervento dei romani impedì il suo linciaggio.
L’apostolo fu condotto a Cesarea presso il governatore romano, scortato da duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lanceri (meglio di un primo ministro!), e qui vennero ascoltati i suoi accusatori: “Abbiamo scoperto che quest’uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra tutti i giudei che sono nel mondo ed è capo della setta dei nazorei…” (ATTI 24,5).
Nella sua abile difesa Paolo dichiara di credere nella “risurrezione dei morti”, tema molto dibattuto a quei tempi tra la sua gente, e in questo modo riesce a distogliere l’attenzione dalle reali accuse. Da notare che Paolo non dice mai che Gesù “è risuscitato”, bensì che “Dio lo ha risuscitato dai morti”, alludendo alla dottrina dei Farisei che credeva in questa risurrezione.
Il risultato fu che questa predicazione contribuì a salvargli la vita.
Gli ATTI si concludono con il viaggio di San Paolo a Roma, in quanto si era appellato all’Imperatore. Non risulta ci siano stati altri incontri con i capi della Chiesa di Gerusalemme. La leggenda che vuole San Pietro e San Paolo martiri nella Capitale non ha origine nella Bibbia, ma negli scritti di Ireneo, un copista cristiano del 170 d.C.. Sul colle vaticano, dove oggi sorge la celebre basilica, c’era un santuario di Mitra, detto petreus, “di pietra”; di qui verosimilmente la leggenda della tomba di Pietro, su cui si era fantasticato per anni.
In ogni caso, a Roma, nel 62 d.C., dopo due anni di arresti domiciliari, durante i quali poteva comunque ricevere visite e predicare, Paolo venne prosciolto da ogni accusa e rimesso in libertà. In quello stesso periodo lo storico Giuseppe Flavio era anche lui a Roma per perorare la causa dei Giudei presso l’Imperatore. Non è noto se i due si incontrarono. Tuttavia c’è un passo illuminante tra le pagine di cronaca:
“C’era un giudeo che era fuggito dal suo paese perché era stato accusato di aver trasgredito alcune leggi e perciò temeva di essere punito, un mascalzone in tutto e per tutto, che in quel tempo soggiornava a Roma affettando di interpretare le sapienti leggi di Mosè” (STORIA DEI GIUDEI, 18,3,5).
La descrizione corrisponde a quanto sostengono gli ATTI, 28,23: “Dal mattino alla sera egli esponeva loro accuratamente il regno di Dio… cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere e se ne andavano discordi tra loro.”
Anche se il testo di Giuseppe Flavio non indica il nome di questo personaggio, la descrizione si attaglia a Paolo di Tarso. Giuseppe Flavio evidentemente non fu convinto da Paolo, tanto che rimase sempre giudeo.
Per via del suo comportamento, questo personaggio fu espulso da Roma assieme ai suoi seguaci. E da qui nel 64 d.C. presero probabilmente le mosse le prime persecuzioni contro i Cristiani (o meglio contro i Giudei convertiti). Fuggito da Roma, Paolo scomparve per sempre dalle pagine della Storia…
Nello stesso periodo, in Giudea, veniva assassinato Giacomo il Giusto, il capo della Chiesa di Gerusalemme, e poco dopo, nel 66 d.C., scoppiò la prima guerra giudaica. Dopo un lungo assedio, nel 70, l’esercito di Tito espugnò Gerusalemme, e rase al suolo il tempio. L’ultima resistenza a Masada, nel 74, si concluse col suicidio collettivo degli Zeloti, gli irriducibili nemici di Roma, e qui perì l’ultimo discendente di Giuda il Galileo, l’ultimo “Messia”.
Con la disfatta di Masada, la scuola esseno-zelota fu definitivamente annientata. Il conflitto tra il Giudaismo filo-ellenico e il Giudaismo nazionalista aveva visto vincitore il primo. Da lì a breve, i Farisei sarebbero rimasti l’unica scuola giudaica e avrebbero dato origine al Rabbinismo. I libri dei MACCABEI, che esaltano le rivolte nazionaliste del I secolo a.C., furono esclusi dal canone ebraico; ma, singolarmente, inclusi in quello cristiano.
La dottrina essena, coi suoi culti esoterici, le conoscenze astronomiche, e l’esatta identità di Gesù Cristo, andarono perduti. Sopravvisse soltanto la scuola di Paolo. Quella scuola nata da un “colpo di fulmine” sulla via di Damasco…
Dal giudaismo al cristianesimo
Ma in cosa consisteva la predicazione di Paolo?
Rispetto alla scuola essena, Paolo eliminò gli elementi misterici, il riferimento agli astri ed al calendario; ma anche il concetto di risurrezione dei “vivi”, che poteva ingenerare equivoci. Scandalizzando i Giudei, Paolo predicò la morte e risurrezione del Maestro per la redenzione dell’umanità. Inoltre, Paolo aveva dovuto recidere o, almeno confondere, il legame di Gesù con la famiglia del Galileo, per non rendere nota una discendenza apostolica di “sangue”, alternativa alla propria. A tal fine, mise in ombra i fratelli di Gesù, soprattutto Giacomo, che pure in alcuni testi godeva di grande considerazione:
- “Chi sarà grande sopra di noi? – Gesù rispose loro: Dovunque andrete seguirete Giacomo il Giusto, colui a motivo del quale sono stati creati il cielo e la terra” (Vangelo apocrifo di TOMMASO v.13).
Infine, l’idea di un Messia, un re o un profeta ebraico, non poteva avere, per ovvi motivi, una forte penetrazione nella cultura greco-romana. Da qui l’idea di rendere il Messia indipendente dal Giudaismo per renderlo più tollerabile ai Romani. E nello stesso tempo occorreva fornirgli quella autorevolezza che la cultura classica riconosceva solo agli dei o ai figli degli dei. Occorreva “divinizzarlo”.
La morte di Cristo fu ricalcata su quella di altre divinità, come il dio Marduk, che fu processato e condannato a morte, nonché su quella di Cleomene III, re di Sparta, che celebrò una specie di ultima cena con dodici seguaci, prima di finire appeso ad una croce. Senza dimenticare che Platone, in un passo della Repubblica, aveva parlato di un “giusto crocifisso”. Tutte fonti accessibili a Paolo.
In MARCO, il Vangelo più antico, quando Gesù chiede a Pietro chi pensa che lui sia, Pietro risponde “tu sei il Cristo”, cioè il Messia dei Giudei. In MATTEO, invece, successivo, l’autore fa aggiungere a Pietro una seconda frase: “tu sei il Cristo, il figlio di Dio”. Si tratta di una chiara aggiunta al testo originale, frutto di quella evoluzione che portò a trasformare il concetto di Messia da “re dei Giudei” a “figlio di Dio”.
Eppure il termine “figlio di Dio” nel Giudaismo aveva una accezione generica, come suggeriscono alcuni passi: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (MATTEO 5,9).
Gesù fu estrapolato dal contesto storico, allontanato dalla sua tradizione, privato dalla sua “identità”, in una evoluzione durata circa tre secoli, che lo portò ad essere “consostanziale al Padre”. Durante il concilio di Nicea del 325 molti ariani vennero uccisi perché si opponevano a simili manipolazioni dei Vangeli.
Ad esempio, nessun Vangelo cita la data del 25 dicembre come giorno di nascita di Gesù. Fin dall’antichità questa data rappresentava una festività importante per una moltitudine di popoli: si festeggiava la nascita del dio-sole (in Egitto Osiride-Ra, nell’Impero Romano il Sol Invictus), in quanto legata al solstizio d’inverno ed ai culti agrari. Questa data venne adottata da Costantino nel 330 d.C. per la nascita di Gesù. Ed il giorno del Signore fu scelto nella domenica, giorno anche del Sole (in inglese è ancora definito sun-day).
Come il Mitratismo, anche il Cristianesimo subì l’influenza del culto egizio di Osiride (il dio morto e risorto), che nel III secolo era molto diffuso nell’Impero (è inesatto dire che Mitratismo e Cristianesimo si siano influenzati reciprocamente, in quanto entrambi sono stati influenzati dal culto di Osiride, molto più antico).
Una analoga evoluzione la subì Maria, divenendo la Vergine Madre di Dio. La sua divinizzazione ottenne l’effetto di assorbire i culti pagani legati ad Iside e Astante. La descrizione del concepimento, “un vento calerà su di te e ti coprirà come un’ombra la potenza dell’Altissimo” (LUCA 1,35), è plasmata sulla descrizione degli accoppiamenti di Zeus con le donne terrestri.
L’eliminazione del divieto di rappresentare le immagini, pur presente nei dieci comandamenti di Mosè, aprì la strada alle raffigurazioni ed al culto dei santi, che presero il posto dei semidei classici. L’immagine della Madonna col bambino fu plasmata su quella di Iside col figlio Horus.
I numerosi Vangeli che circolavano nell’Impero, vennero selezionati quando Costantino rese il Cristianesimo religione di Stato. Quelli ritenuti inadatti furono respinti come “apocrifi”; e i criteri con cui la Chiesa costruì questi spalti impenetrabili dell’ortodossia rimasero sempre indefiniti.
Infine, per quanto possa apparire singolare, lo Spirito Santo in origine era una entità femminile. Esso derivava dal culto della Madre Terra, la Ruah (in ebraico ruah è di genere femminile). In Egitto c’era Iside, che insieme a Osiride e Horus, formava una sorta di trinità. Per questo, l’idea di una unione di Maria con lo Spirito Santo apparve inaccettabile ai Giudei:
- “Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna?” (Vangelo apocrifo di FILIPPO v.17).
Dimenticando le proprie origini, il Cristianesimo aveva preso a veleggiare sulle ali della fantasia…