“Lo studio era pieno dell’odore intenso delle rose, e quando la brezza estiva passava tra gli alberi del giardino, penetrava dalla porta aperta il profumo pesante del glicine o la fragranza più delicata del biancospino.” Con questo incipit si apre l’opera più famosa di Oscar Wilde, in cui è racchiuso tutta la sua filosofia nei confronti di quella magia chiamata arte… L’arte è bellezza, l’arte è perfezione, l’arte è immortalità, ma l’arte spesso è anche dannazione…
Wilde presenta al lettore un affascinante tema: l’uomo come opera d’arte, l’uomo che riesce a fare della propria vita e del proprio essere un capolavoro. Ma se il giovane Dorian diventa un’opera artistica vivente, bella e immortale, dovrà pagare a caro prezzo un tale privilegio, con la dannazione della propria anima.Mentre viene ritratto da un amico pittore, il giovane e bello Dorian Gray viene allo stesso tempo affascinato dalla filosofia di un ricco e nobile dandy, Lord Harry, che lo inizia ai valori estetici e alle bellezze della vita. Da questi sentimenti nasce il desiderio di Dorian, contemplando la propria perfezione nel ritratto, di trasferire la corruzione e la vecchiaia della vita sull’immagine di tela, lasciando per sempre intatta la sua bellezza. Magicamente la cosa è destinata a realizzarsi, e così, mentre con gli anni l’immagine del dipinto comincia a invecchiare e decadere, il giovane Dorian rimarrà sempre giovane come nei giorni del ritratto…Presto infatti s’innamora di una giovane attrice, restando ammaliato dalla sua bravura. Ma quando la fanciulla, ricambiandolo, comincia a vivere per la prima volta quelle emozioni che aveva sempre simulato sulla scena, la sua arte svanirà, e, deluso, Dorian la abbandonerà.
È molto abile Wilde a giocare con le contraddizioni: da un lato il sentimento di Dorian come conseguenza dell’arte, dall’altro l’arte della fanciulla come assenza di sentimento. Ma se l’essere umano può vivere senza arte, non può vivere senza amore, e dunque il suicidio della fanciulla diventa una conseguenza inevitabile. Dopo il tragico evento, il giovane Gray si renderà conto di non poter più amare altri esseri umani e, pur conservando l’esteriorità di un innocente fanciullo, scenderà sempre di più nell’abisso dell’immoralità e della perdizione. Immortalità e immoralità, forma ed essenza… Solo al finale dell’opera, infine, quando pieno di frustrazione e di odio per se stesso Gray colpirà il suo ritratto, divenuto ormai vecchio e orribile, l’incantesimo verrà drammaticamente infranto.
La figura dominante del romanzo risulta, in ogni caso, quella di Lord Harry, con la sua ironia (da cui sono tratti i più famosi aforismi di Wilde), e con la sua filosofia del paradosso, capace di smascherare le ipocrisie della società in cui vive. E tuttavia, sebbene la sua influenza sia la causa della dannazione di Dorian Gray, Wilde non esprime giudizi su di lui. Lord Harry rimane sempre in primo piano, ma con un ruolo privo di valutazioni morali, con una funzione elegante ed estetica, ma mai etica. Se da un lato Wilde vuole dividere l’arte della morale, facendo comprendere la totale estraneità dell’una dall’altra, dall’altro lato, probabilmente, non vuole giudicare questo personaggio, che nasconde forse una icona di se stesso, e lascia al lettore il difficile compito. La filosofia dell’estetica è sempre fonte di dannazione? O è stato Dorian Gray ad applicarla in modo sbagliato? È possibile conseguire la perfezione conservando la propria umanità?… Forse solo nelle massime e nei paradossi dell’autore è possibile scorgere una risposta… Vi sono due maniere di odiare l’arte, l’una è di odiarla, l’altra è di amarla razionalmente…